Scrittore italiano. Compì
gli studi a Trieste, dove fu introdotto negli ambienti irredentisti dal suo
maestro F. Pasini. Trasferitosi a Firenze nel 1908, conseguì la laurea in
Lettere. Collaborò alla “Voce” con bozzetti, recensioni e
note polemiche e scrisse novelle per ragazzi sul “Giornalino della
domenica” di Vamba. Nel 1913 fu lettore di italiano al Kolonialinstitut di
Amburgo. Rientrato in patria allo scoppio della prima guerra mondiale, si
arruolò fra i primi volontari come granatiere; ferito presso Monfalcone
nel 1915, morì sul fronte. Ciò che caratterizzò la
personalità di
S. fu il contrasto mai risolto tra l'aspirazione a
una vita morale irreprensibile e l'abbandono agli impulsi dei sensi, che si
riflette nelle sue opere. Tra queste la più famosa e significativa fu
Il mio Carso (1912), una prosa narrativa e diaristica, lirica e
drammatica, in cui
S. mescolò sapientemente i ricordi della
giovinezza, la descrizione della vita del Carso, di Trieste e dei contrasti fra
i popoli italiano e slavo, nonché la suggestiva rievocazione dei paesaggi
carsici. Se si eccettuano le traduzioni della
Giuditta (1910) e del
Diario (1912) di F. Hebbel, l'edizione dell'
Epistolario di T.
Tasso (1912) e due fascicoli irredentisti (
I confini necessari
all'Italia, 1915;
Le strade d'invasione dall'Italia all'Austria,
1915), tutte le altre opere di
S. vennero pubblicate postume: il saggio
su
Ibsen (1916), costruito sul contrasto simbolico fra il mondo ibseniano
e quello shakespeariano; gli
Scritti letterari e critici (1920); gli
Scritti politici (1925); le
Lettere (1931), dominate da un'acuta
analisi morale e psicologica; gli
Appunti e note di diario (1953)
(Trieste 1888 - in guerra, sul Pogdora 1915).